C’ERA UN GITANO
( Leggenda )
Certo fra gli antenati
c’era un gitano,
di quelli puri, senza patria, quelli
che accendevano fuochi nella notte
e battevano il tempo con le mani
ai danzatori, quelli
che affilavano lame sulle pietre
e intrecciavano morbidi scudisci.
C’era, dunque, un gitano
- forse mi somigliava –
per un terzo impietoso, un terzo santo,
per un terzo poeta,
che risaliva il corso dei torrenti
fino in cima alle rupi più scoscese
per dissetarsi alle sorgenti
e andava controvento per seguire
lontani effluvi di morgane
e odori di leggende.
C’era un gitano con due luci strane
negli occhi chiari,
a modo suo pregava, a volte:
“conservami, Signore, il mio cavallo,
conservami l’amore:
il primo per fuggire,
per vivere il secondo,
il primo per cercarti
ed il secondo per morire bene.”
C’era un gitano, forse un po’ giullare,
che raccontava storie
quasi sempre inventate e a lungo andare
poi finiva col crederci e per via
lui sognava castelli, principesse
e un regno tutto suo in Andalusia.
Qualcuno disse ch’era strano,
forse un po’ matto,
quel balordo gitano;
lo lasciarono tutti, un po’ alla volta,
la sua donna, gli zingari, gli amici:
“che vada alla malora
quel perdigiorno cantastorie!”
E il gitano pregò: “grazie, Signore
per avermi lasciato il mio cavallo,
ch’io non mi stanchi di cercarti ancora.”
Cavalcò sette giorni e sette notti,
sette montagne, sette praterie,
sette foreste e sette fiuni in piena
traversò galoppando a perdifiato
e stramazzò il cavallo
con il cuore squarciato.
“Ecco, ho ucciso anche te”
pianse il gitano
“tutto ho falciato lungo la mia strada.”
Vagò per sette giorni e sette notti
senza cibo e coperta;
cadde in ginocchio ai piedi di una rupe,
levò lo sguardo al cielo,
vide il castello dalle torri aguzze
sulla cima del monte, i tetti d’oro.
“Signore” disse “al fine ti ho trovato!”
E chiuse gli occhi per morire.
Si ridestò il gitano
in un letto di rose e di asfodeli:
lei sedeva al suo fianco e sorrideva,
una nenia andalusa
cantava piano, tenera, sommessa.
Gli teneva la mano
la sua tanto sognata principessa.
Epilogo
C’era un gitano che morì in sordina
in un castello in cima alla montagna:
ebbe il suo regno, ebbe la regina,
visse d’amore in terra di Cuccagna.