"Nessuna onda può pettinare il mare
E incanalarsi in saldo pensiero
"

Mi piace ricordare mio padre, Pino Indini, con i versi di uno dei poeti che lui più amava: Dylan Thomas. Perché è così che lo vedo oggi che non c’è più. Lo vedo come uno spirito libero, sempre ispirato dalla sua creatività gioiosa ma allo stesso tempo malinconica, complessa, indomabile e in continuo fermento. Come il mare che non potrà mai essere pettinato da nessuna onda, così il pensiero di mio padre non cesserà mai di vivere. La sua anima tanto fragile quanto indomita è sopravvissuta al suo corpo e con lei anche il suo pensiero. Ho conosciuto gli aspetti più insondabili del cuore di mio padre, sempre così schivo e di poche parole, solo attraverso la sua scrittura. Non quella luminosa della satira e dell’ironia nota ai più ma quella travagliata e ispirata delle sue poesie. E mi ritrovo a rileggere e a scoprire ogni volta qualcosa di nuovo di lui. E di me che, solo oggi capisco quanto gli assomigli. Farò tesoro di ogni sua parola, ogni suo verso. Scuola di vita e d’amore. Sono fiera di lui. Non gliel’ho mai detto ma l’ha sempre saputo. C’è un altro poeta che mio padre adorava e dei cui versi si è nutrito fino all’ultimo, quando il corpo lo aveva abbandonato ed era costretto su una sedia a rotelle. Si tratta di Rainer Maria Rilke. Negli ultimi mesi di vita, aveva spesso tra le mani tremanti quella raccolta di liriche dalla copertina grigia che gli avevo regalato durante il suo calvario in ospedale ad Ancona. Era immobile e soffriva ma gli occhi gli brillavano perchè si nutriva di quelle poesie che gli davano forza e vita. Un giorno dal letto, ormai immobilizzato, mi fece un cenno con la mano, proprio mentre leggeva quel libro, e accompagnato da un’espressione inconfondibile mi disse: <che capolavoro>. Questo era mio padre. E a me piace ricordarlo così.

Emy Indini, figlia di Pino Indini, è giornalista professionista al “Messaggero” di Pesaro.

 

Quando – molti anni fa – Pino cominciò a pubblicare sul quotidiano locale le prime Lettere di Coco Lafungia, indirizzandole alternatamene al Greggio Signor Direttori per lagnarsi delle disfunzioni civiche o all’ipotetico fratello micrato alla Ustraglia per sfogarsi su guai privati, davanti ai miei occhi si sollevó  di colpo un diaframma che da troppo tempo separava da Brindisi la mia vita e la mia anima. Al di là della componente ludica e della portata satirica, infatti, le Lettere ebbero lo straordinario potere di restituirmi intatta la stagione della nostra infanzia-adolescenza a Sant’Aloj, e, insieme, mi fecero capire come Pino non se ne fosse mai allontanato, anzi, fosse andato, via via nel tempo, elaborando e arricchendo quell’esperienza che, sotto molti aspetti, poteva considerarsi unica e irrepetibile persino nell’ambito della stessa Brindisi.
La nostra strada, all’epoca, pullulava di soprannomi, correlati alle abitudini e ai tic più bizzarri, ai mestieri, alle ascendenze familiari e alle caratteristiche fisiche (Peppa ti la Tiavvula, Tresia ti lu Biondu, Nena ti li jatti, ‘Ngiccu Miau-Miau, Rafeli lu Manzu, Antumu Strascina, Rinu Zazzaredda, ‘Nzinu Pizzichicciu, Ucciu lu Llauru, ecc.); era teatro perenne di sceneggiate spontanee all’aperto con plateale coinvolgimento di vicinati e parentadi limitrofi; negli interni a pianterreno (li vitrini), durante le lunghe serate invernali, attorno alla mitica  brascera, tra una posta di rosario e l’altra, si instauravano vere e proprie gare di culacchi in cui il fantastico e il quotidiano incontravano una disinvolta coesistenza ( Le Favole di Coco Lafungia, ne recano un indiscutibile riflesso ); e vi abitava una folla di tipi-macchietta, dotati di toni e gestualità molto sopra le righe.
Pino imitava tutto e tutti, ovviamente imprimendovi un surplus di coloritura spinto all’estremo del caricaturale, quasi del grottesco: l’effetto era oltremodo esilarante.
Tutti e tutto: sedimentati nella sua memoria, trasposti in un’attualità che, di fatto, è il risultato di un’osmosi geniale tra passato e presente, sono confluiti in Coco Lafungia, questo sovrapersonaggio che riesce a condensare la sua origine polifonica e polimorfica in un amalgama coerente, grazie al quale la peculiare “brindisinità” di Sant’Aloj si estende a comprendere lo spirito dell’intera città, preserva immagini, volti e linguaggi dall’usura del progresso e contro la rapidità degli avvicendamenti generazionali, e consegna alla Storia un piccolo nucleo di umanità che forse, senza di lui, alla Storia non sarebbe appartenuta mai.

Marisa Indini, sorella di Pino Indini, docente (in pensione) di filologia ibero-romanza all’Università di Bari facoltà di lettere.

 

Per il mio amico e cognato Pino Indini sono state pronunciate e scritte, meritatamente, molte parole di elogio, in vita e post mortem. Come poeta, come scrittore e come uomo. Non è facile aggiungerne altre. Lascio parlare il ricordo del cuore. Con il profondo affetto che mi legava a lui mi piace ricordarlo quando, sorridente, sedeva affianco a sua moglie sul divanetto della mia cucina. Parlavamo dei luoghi della nostra infanzia, dei termini dialettali brindisini, di fatti e persone che, rivestiti della sua tagliente ironia, sarebbero potuti diventare il soggetto di una “lettera” di Coco Lafungia. Immancabile ad ogni festa comandata, il colorito elenco di piatti e portate che andavano a comporre un menu comico e dissacrante, ironicamente ispirato dalla “ nouvelle cousine” di alcuni cosiddetti grandi chef della televisione. E poi non c’era fine dell’anno senza quelle letture sulle previsioni astrologiche dell’Oroscoppio, tanto improbabili quanto espressione di intelligente comicità. Per sdrammatizzare e ridere insieme sul passato, sul presente e sul futuro.

Giovanni Vecchio, cognato di Pino Indini, medico chirurgo (in pensione) presso L’Ospedale Perrino di Brindisi.

 

Dire oggi che uno zio così lo dovrebbero aver avuto tutti, è qualcosa di insufficiente e sterile. Questa frase “quasi fatta” non riesce a far migrare e recepire il mio ricordo.
Non mi riferisco agli orgogli dei quali mi ha fregiato essendo stato uno straordinario scrittore conosciuto da tutti, ma a ciò che ha saputo darmi semplicemente da zio.
La cosa che mi ha sempre stupito di lui, è come la sua popolarità non gli abbia mai modificato il carattere, lui ha sempre conservato l’umiltà di vita, anzi addirittura ironizzando e criticando “l’egli stesso famoso”. Questo mi ha fatto comprendere come il genio era in lui e non creato da lui.
Su ogni episodio che accadeva, familiare e non, era sempre pronto a dare il suo giudizio ironico, e poi, dopo aver riso, ti accorgevi che in quel giudizio c’era la sostanza della realtà nella sua qualità e quantità, tanto da renderlo proverbio o motto per future situazioni simili.
Io ho fatto tesoro della sua persona, dei suoi mascherati insegnamenti, ed ora che non c’è più, mi rendo conto quanto sia difficile “ridere per non piangere”, consolazione che solo lui sapeva dare.
L’odierno rammarico è che i miei figli Gabriele e Antonio non potranno conoscerlo, io da parte mia, cercherò goffamente di raccontarglielo, e dirò loro di quanto sia stato fortunato ad averlo avuto come zio e (scusate se è poco) come padrino.

Giuseppe Salvia, nipote di Pino Indini.


Sfoglio le pagine di un tuo racconto e rivedo nello stesso momento le pagine della mia vita.
Sei stato sempre presente sin da quando ero una bambina che restava affascinata dalla tua personalità e dalla tua vena poetica.
Ricordo con nostalgia le ricorrenze importanti della nostra famiglia, quando eravamo riuniti nella taverna della tua casa.
Il fuoco del camino era sempre acceso ed i "compleanni" e le "vigilie di Natale" diventavano speciali grazie a te, alla tua acutezza e vivacità di spirito.
Diventarono speciali anche quando il mio cuore era colmo di dolore e di angoscia, mi bastava osservare la mia piccola bambina che rideva per capire che la vita, anche se crudele, era degna di essere vissuta.
Ti ringrazio per l'insegnamento che ci hai trasmesso, quella riservatezza che va aldilà di ogni meschinità, che ci colloca al di sopra delle brutture e dell'odio e che ci fa comprendere che è proprio questo distacco che rende la vita più felice.

Maria Teresa Errico, cognata di Pino Indini.

 


Conobbi Giuseppe Indini quando avevo sedici anni ma non inten­do fare ora il suo panegirico
Era mio amico vero e sincero come lo sa essere chi è buono nell'anima ed era anche amico di tutti voi qui riuniti.
Non è neanche mia intenzione rivolgere una lode esagerata a quest'uomo che tanto ha dato di sè a tutti noi ed a Brindisi,sua ama­tissima Città.
Voglio invece,rendere testimonianza di una vita,quella di Pino Indini,dedita alla famiglia ed alla sua Comunità,una vita liriciz­zata dalla sua bella poesia e da ogni altra forma di trattazione lette­raria in cui ha spaziato la sua attività culturale.
Pino aveva una creatività incontenibile ed i suoi pensieri erano di ampio respiro speculativo e sempre profondi a scandagliare ogni meandro dell'animo umano,le sue parole precise, incisive, dense di verità, erano manifestazioni di intimo travaglio,di costanti riflessioni, di stratificata cultura sempre aggiornata mediante le sue continue e diversificate letture.
Sono state proprio le sue parole il tramite con cui Pino ha relazionato con tutti,il messaggio eloquente portato al cuore ed alle intelligenze dei suoi molti lettori.
Leggendo la sua numerosa ed articolata produzione letteraria, da lui donatami con quel suo atteggiamento schivo e riservato,ho notato la ricchezza del suo lessico tanto che le parole gli uscivano dalla sua eclettica penna con la stessa velocità e fluenza che io paragono ai getti di una grande fontana che ti inondano l'anima.
Ed erano parole giuste, equilibrate, puntigliosamente descritti­ve di ogni sentimento, di ogni umano accadimento, tanto da riuscire a colpirti dentro con veemenza per poi riconoscerti in esse.
In questo immediato rapporto che lui era capace di creare con tutti, inquesto suo saper giungere a toccare il comune sentire, sta l'universalità delle sue opere.
Per questo, dopo la semplicità dell'amicizia disinteressata come è quella adolescenziale, non ho potuto fare a meno di stimarlo perché sia io che Luigi Provenzano, ora lontano ma presente in spirito, non solo vogliamo bene a Pino Indini ma ancor più lo apprezziamo per le sue doti di uomo, di marito, di padre, di pensatore e di poeta.
Tarderà forse a nascere , se nasce, per dirla con Garcia Lorca, un uomo dalla personalità così composita ed armoniosa come quella di Giuseppe Indini.
Quando lo conobbi 53 anni or sono, non pensavo di poter parlare di lui in questa circostanza, anche se so bene che nulla sono le mie parole in confronto allo spessore morale ed alla grande ed inconte­nibile sua cultura che mai quindi riuscirei a sfiorare.
Sono orgoglioso, però, perché ho l'onore di essergli amico per ieri, per ora e per domani e ciò lo voglio confermare a tutti i suoi familiari, ai suoi cognati, ai suoi generi e nuore, ai suoi parenti ed amici ed a tutti coloro che lo ebbero caro, perché Pino è di tutti noi e non è morto ma è vivo e continuerà ad esserlo finche tutti lo porteranno nel cuore così come lo porterà la sua Brindisi.
Mai scenderà su di lui l'ombra del silenzio, della dimentican­za, della tracotante indifferenza  anche se egli  nulla ha mai  fatto  per  apparire, per  divenire  personaggio..
Pino Indini è stato viandante attento alla sua esistenza e pensoso della sua essenza. Dai suoi scritti emerge la sua sensazione d'avere radici che gli fornivano la linfa alla sua esistenza assilla­ta da innumerevoli " perché”. Si sentiva un prodotto che presuppone un produttore e si diceva quindi figlio, figlio di Dio.
In lui confluivano in un connubio armonico, mai scontato, ma costantemente vivificato dalla sua inestinguibile ansia di ricercatore di trascendenti ed imperiture verità, cielo e terra, fede e ragione ed in questa dicotomia si aggirava l'anima inquieta di questo uomo che ci insegna a credere all' Onnipotente  ed  a realizzare per sè e per tutti la pace.
Il viatico della sua vita è stato all’ insegna della modestia, del sentirsi non all’ altezza, dell' insicurezza, tutta umana, di ogni sua azione di ogni suo pensiero ed ha vissuto come colui che ha coscienza di non sapere ma che aspira a possedere la conoscenza.
Sono proprio queste sue doti innate che lo fanno vero, autentico, direi quasi, unico.
Voglio concludere, perché l'emozione è tanta, con le parole di una sua poesia dal titolo "Aforismi" facente parte di una silloge inedi­ta dedicata ai suoi amici fraterni, come lui ci definisce, Eduardo Argentieri e Luigi Provenzano che ci consegnò con quel suo nobile tratto umano, ma con tanta umiltà che impreziosiva il gesto, verso la fine dello scorso anno.
E allora così scriveva Pino,prima che Dio della misericordia e del perdono lo facesse suo.

AFORISMI

Non voglio fiori postumi,
non pregate per me,
dimenticate.

Non parlate di me la sera, quando
vi troverete insieme e che nessuno
venga fuori col tragico aforisma
“vi ricordate…?”

Ecco questo era Pino Indini. Pino io credo che sei e sarai.
Ciao Amico.

 

Il mio ricordo di Pino Indini risale agli anni del ginnasio quando ci conoscemmo sui banchi del Calasanzio. Si stabili` subito fra noi un sodalizio forte,  insieme ad un altro compagno del collegio, e fummo subito gli allegri dissacratori delle rigide “regole” di quell’Istituto.
Era un piacere sentirlo in classe conferire sugli autori latini e greci e leggere i componimenti di italiano ove compariva la sua ricca inventiva e la vena poetica, che sarebbe stata poi espressa attraverso i suoi numerosi scritti giornalistici e letterari.
Era un grande piacere rivederci durante i periodi feriali della scuola, davanti al Cinema Impero e al Teatro Verdi di Brindisi !
Le vicende della vita ci portarono poi lontani l’uno dall’altro.
 Io l’ho ritrovato pero` integro ed uguale a quando eravamo sui banchi di scuola allorche` lessi un suo commento a firma di Coco Lafungia su un giornale cittadino, ove  “sparava” una filippica contro l’incipiente disfacimento del litorale cittadino di Sant’Apollinare ad opera della incombente industrualizzazione dell’area del porto. Dovevo allora necessariamente ricomporre l’antico sodalizio…
E` stata una festa il poterci riabbracciare e tornare a godere del ricordo dei tempi passati.
Ho quindi ritrovato la sua antica vena poetica negli scritti “cult” di “Assolo per viola d’amore “, di “Sotto la grande quercia”, di “Breve storia di Alma” che insieme a tanti altri oggi leggo e rileggo con grande piacere dell’anima. Ho riscoperto anche il suo senso di humour nei ‘racconti” e nelle “favole” in vernacolo a firma di Coco Lafungia. Li` tanto senso lirico, qui tanta saggezza popolare e tanta filosofia di vita.
Caro grande Pino, sei tuttora vivo nel mio cuore e nel cuore di tutti i tuoi cari e di quanti ti hanno amato e ti amano ancora.

 

All' Amico Pino Indini.
Sinceramente sono rammaricato perchè le circostanze della vita non mi hanno permesso di conoscerTi prima e di frequentarTi più a lungo poi.
Però, nonostante il breve lasso di tempo della nostra amicizia, che rimarrà perenne, con la Tua semplicità, cordialità e grandezza d'animo, mi hai trasmesso dei valori della vita che ogni essere umano vorrebbe fare propri.
Il sottoscritto, certamente, e i brindisini tutti, mi auguro, oggi più che mai hanno bisogno di tenere sempre vivi questi valori e culture, che poi sono radicati nella nostra terra.
Il modo migliore affinchè tutto ciò sia realtà è continuare a parlare e scrivere di Pino, e, anche con l'intervento delle istituzioni locali, riproporre questo Concittadino attraverso le Sue magnifiche opere letterarie.

 

Credo che pochi intellettuali pugliesi si siano spesi, sia nel settore specifico della letteratura che in quello più vasto dell’impegno culturale a tutto campo, come Pino Indini, straordinaria figura di inventore di storie e miti, di autore di levigata poesia e di poderosa narrativa, di ricercatore di storia “minore” (ma proprio per questo più vera e misconosciuta) brindisina, di estensore di articoli e note giornalistiche sempre caustiche, ironiche, pungenti. Pino Indini è una “presenza” (formidabile per molti, scomoda per qualcuno). Sono convinto – come ho detto tante volte a Pino Indini – che il suo “Coco Lafungia” abbia finito per cancellare (o quasi) tutto il resto della sua produzione: ma in effetti Coco Lafungia è un personaggio che resterà nella storia della letteratura (e non solo di questa regione). Coco Lafungia resterà, diventerà, personaggio del parlare quotidiano, perché oramai ha vita propria (e in futuro potrà diventare tutto: film, fumetto, teatro,…). Credo proprio che la città di Brindisi, ma anche le autorità accademiche, la critica letteraria abbiano sottovalutato la portata dell’operazione culturale complessiva di Pino Indini, fors’anche perché Pino è stato sempre schivo e autentico. Una persona vera. C’è sempre tempo per recuperare: si potrebbe a breve organizzare un convegno sulla sua opera; si potrebbe individuare un editore che ristampasse le sue opere. Si può (si deve) fare molto per questo grande scrittore pugliese.

Daniele Giancane è docente presso il dipartimento di Scienze Pedagogiche e Didattiche dell’Università degli studi di Bari.

 

Parlare di Pino Indini è per me una grande gioia perché è come parlare di un carissimo amico sempre presente, con quell’intelligenza vivace, pronta a dare risposte “azzeccate” ad ogni quesito, tra il faceto e il mordace, tra il serio e l’umoristico. Ebbi occasione di intervistarlo per una rubrica televisiva locale, come personaggio della cultura brindisina. Versatile e poliedrico: creatore di Coco Lafungia. Narratore piacevole e convincente, autore di racconti, riormeggiatore popolare di antiche fiabe, attento ed ironico di tutto quanto si svolgeva quotidianamente intorno a lui. Ma ciò che di Pino Indini mi è sempre piaciuto è il suo essere forte in tutto ciò che diceva, che faceva e che scriveva e questa era una sua peculiare caratteristica. Era un sognatore, un’idealista, un romantico, ogni aspetto della vita, anche il più triste e amaro, aveva per lui sempre qualcosa di piacevole e valeva sempre di essere vissuto, analizzato per trovare lucciole di saggezza. C’è un grande ottimismo nelle opere di Pino Indini, per cui l’argomento più serio e grave finiva con l’essere raccontato con un sorriso, ciò forse gli proveniva da quella caratteristica degli uomini del sud. E Pino era tutto nel suo sud tetragono e roccioso e a volte aspro ma pronto a commuoversi di fronte alle più dolorose fatiche dei contadini e da questa commozione sincera nascono le innumerevoli sue opere poetiche. Per questo io amo la poesia do Pino Indini per il suo profondo modo di sentire i momenti più seri della vita da quelli intimi e familiari a quelli sociali e ultimamente religiosi nei quali sicuramente la luce della salvezza lo avrà guidato. Un uomo così, un poeta vero avrà sempre un posto nel cuore dei suoi concittadini che non dovranno dimenticarlo e dovranno indicarlo nel ricordo alle future generazioni di Brindisi.

Domenico Gatti, preside in pensione, giornalista ed autore di numerosi saggi di arte e letteratura collabora con giornali e riviste nazionali.

 

Non è facile descrivere un personaggio così complesso e poliedrico qual è stato lo scrittore, poeta, favolista e commediografo Pino Indini. Ho deciso, pertanto, di comunicare alla fine. Il 23 settembre scorso ero in macchina con mia moglie Franca. Mi trovavo nei pressi di Apani in direzione Ostini. Il cellulare squillava con insistenza e volli fermare l’auto alla prima piazzola di sosta. Mi chiamava Lionello Maci, grande amico ed estimatore di Pino Indini. Con voce rotta dall’emozione, mi comunicò la fine terrena di Pino. Dopo una breve pausa di silenzio, diedi la triste notizia a Franca. Nel riprendere a guidare, dettai di getto a mia moglie un articolo su Pino Indini che fu pubblicato il giorno seguente da un quotidiano locale. Scrivevo in conclusione: “Brindisi perde un uomo di cultura; Brindisi saprà valorizzare e tramandare la sua memoria”. Pino ha colmato un vuoto, provvedendo a dotare la città di una sua maschera. Il personaggio a cui ha dato corpo Pino Indini è un soggetto difficile, psicologiacamente complesso, positivo e negativo al tempo stesso; è il villico, il contadino, è uno dei nostri contadini nel modo di pensare, di agire, di esprimersi, rozzo ma genuino, volgare ma sincero, non privo di coraggio, intelligenza e buon senso. Al primo impatto potrebbe risultare non simpatico per l’uso frequente di parolacce che fanno torcere il muso ai benpensanti, i quali dimenticano che l’idioma colorito del contadino Coco Lafungia è il nostro: è quello popolano e popolare. Ricordo che un recentissimo studio condotto da alcuni psicologi afferma che bisogna sdoganare la parolaccia (nel senso di liberalizzarla). Gli esperti sostengono che “la parolaccia abbassa la tensione”, specialmente quando è situata in un contesto particolare. Le parolacce inducono al sorriso e, quindi, fanno bene alla salute perché la risata è una medicina salutare contro tutti i mali ed i malanni. Pino Indini è un italianista puro. Le sue sono opere che rivelano tutta la profondità di pensiero di un letterato serio: “Sotto le grandi querce”, “Onirica l’isola del sogno”, “Assolo per viole d’amore”, “Dylan Thomas”, ecc. La stessa “operazione Coco Lafungia” mette in risalto tutti il bagaglio culturale di Pino Indini. Egli è stato un artista dotato di una singolare sensibilità d’animo e di una ricchezza e vivacità culturale che gli hanno fatto meritare premi e riconoscimenti anche a livello nazionale.

Antonio Caputo svolge attività di pubblicista e collabora con varie riviste locali e nazionali. Direttore referente della biblioteca Arcivescovile “Annibale De leo” di Brindisi.

 

Una delle persone che hanno dato inizio alla mia "carriera" non c'è più.
Mi pare fosse l'estate del 1986 e Pino mi fece sapere che voleva che illustrassi il suo "Nuovi Racconti di Coco Lafungia". Discutemmo della cosa all'ex ospedale Di Summa, mentre ero a Brindisi in vacanza. Mi trovai di fronte ad una persona buffa, simpatica, estremamente concreta e spietatamente onesta nel dirmi: "Non ci sono compensi, perchè il libro me lo sto pagando da me, o quasi, ma posso farti una pubblicità incredibile". Oggi è una scusa abusata, all'epoca e detta da lui, era una realtà.
Iniziammo quindi quest'avventura che definirei "artigianale", in perfetto stile Lafungiesco. Un avventura fatta di telefonate e lettere raccomandate, con le quali Pino (che io ho sempre chiamato Coco) copriva gli 800 km che ci separavano raccontandomi gli episodi di Coco Lafungia che avrei dovuto illustrare. Poi io disegnavo le vignette (a guardarle oggi mi viene da ridere: errori di prospettiva, ingenuità del tratto e nella caratterizzazione dei personaggi etc) e partivo alla estenuante ricerca di un fax per mandargliele in visione. Spesso mi chiedo se oggi, realizzare un libro sarebbe stata la stessa cosa. Per quello che ho potuto constatare no. All'epoca i computer erano un lusso per pochi e non sarebbero stai all'altezza del compito; internet e diavolerie comode per questo tipo di lavori, come la posta elettronica e protocolli ftp erano relegati alla fantascienza.
Ma oggi manca quello che Pino riusciva a dare e che oggi pare essere scomparso: il contatto umano.
Si prendeva la briga di scriverti, di chiamarti, di suggerire quale scena realizzare, e riusciva a farlo senza mettere bocca sul tuo lavoro; soprattutto, trasmetteva entusiasmo. Oggi non lo fa più nessuno, e quando lo fanno pretendono di insegnarti il mestiere; entusiasmo non sanno nemmeno come si scrive.
Nel frattempo, manteneva la promessa: ove possibile, usciva sempre un'anticipazione del prossimo libro. Ovunque, il mio nome era scritto in maniera chiara e leggibile. Forse Pino, con un dieci, quindici anni di anticipo rispetto ai tempi, inventò quello che oggi chiamano "marketing virale". Tutti a Brindisi sapevano che qualcosa bolliva in pentola, ma non sapevano ancora il come o il quando.
Il libro uscì. A guardarlo oggi, fa sorridere. Grafica povera, materiali non eccezionali. Una semplicità estrema. Con i mezzi di oggi chiunque, forse, potrebbe realizzare prodotti migliori. Ma "Nuovi Racconti di Coco Lafungia" aveva qualcosa che oggi non c'è più: il cuore.
Il successo editoriale che ebbe quel libro fu enorme, anche per i canoni odierni. Non mi ricordo con esattezza le cifre (ma erano tante, tantissime copie), ma scommetto che oggi un editore farebbe carte false per raggiungere lo stesso numero di copie vendute.
Pino riusciva con le sue opere a stringere un legame con i lettori come pochi autori riescono a fare. Non era un'entità astratta, un nome stampato su una copertina.
Era un Brindisino. Vero, ruspante, arguto e battagliero. E, che a differenza di molti altri suoi concittadini, amava la sua città e si incazzava nel vederla perire.
Contemporaneamente, per me iniziarono sporadiche collaborazioni con l'Eco di brindisi, Meridiana (un mensile interessante che purtroppo non ebbe seguito) e grazie all'oggi direttore di Senzacolonne, Gianmarco Di Napoli, con il Quotidiano.
Quante suole consumai per trovare dei fax, nel 1986-87.
Che pena vedere i miei disegni pubblicati a "quadrettoni".
Ho sempre pensato con molta nostalgia e affetto a quel periodo. Ho sempre con me quel libro, me lo sono portato dietro, ogni tanto lo rileggo, e rido come allora.
Qualche mese fa, un brindisino per e-mail mi ha chiesto se potevo procurargliene qualche copia, ma purtroppo non ho potuto essergli d'aiuto.
Spesso (anche recentemente) ho pensato anche di collaborare di nuovo con Pino, ora che so disegnare un pò meglio. Ma gli impegni e il fatto che ne avevo perso le tracce me l'hanno impedito.
Mi sarebbe piaciuto rivivere con lui quei momenti.
Ho fatto l'errore di pensare: "vabbè, tanto è a Brindisi, ce l'ho sottomano, ci si vedrà prima o poi"
Purtroppo le cose non sono andate così.
Avrei voluto disegnare qualcosa per ricordarlo. Ma non mi è venuto niente che potesse descrivere in maniera immediata tutto ciò che ho detto finora.
Meglio scrivere due righe...
Un abbraccio a Emy, Francesco ed Elvira.
Ciao, Coco...

Pierpaolo Putignano, illustratore del libro "Nuovi racconti di Coco Lafungia"


LETTERA A PINO INDINI

La prima volta che ho conosciuto le lettere di Coco Lafungia ero poco più che una bambina.
Avevo una zia che durante i pranzi di famiglia tirava fuori il suo libro dalla borsa, e ce le leggeva !
Conoscevi molto bene il dialetto brindisino e di questo rimangono le testimonianze delle tue opere, ma l' originalità di Coco sta proprio nel suo ridicolo sforzo di esprimersi in italiano, finchè la sua evidente "difficoltà" scatenava un incontenibile sorriso.
La tua cultura, sensibilità ed ironia riempivano le "lettere" di contenuti importanti, di proteste ed opinioni....mentre la tua eccellente conoscescenza traspositiva ha coniato in maniera magistrale e ineguagliabile un nuovo stile :
" L' ITALIANO IGNORANTE " !

Avrei tanto voluto conoscerti, ma attraverso la passione per la nostra storia, cultura e tradizioni è come se questo fosse avvenuto !
Rimani per tutti i brindisini inimitabile, insuperabile... e indimenticabile.

Grazie


© Francesco Indini 2010