Cera una fiata
e cera una reggina che gli nacquette una figlia bianca como la neve e rossa como il sangue che mediatamente la chiamarono Biancaneve alla quale però il rosso non centra mancopeccazzo.Ma questa reggina morette subbito dopo il partorimento e il rè si sposò con una signora che tanto era bella quanto era perniciosa e infama, di cui quella teneva una specchiera maggica che parlava comesia che era un cristiano e allei gli domandava:
Specchio specchio delle mie ntrame
chi è la più bella del reame?
E quello gli rispondeva sempre:
apparte il fatto che sei uastasona
tu sei la meglio e sei pure bona!
Ma quando che Biancanece diventò carosa, si facette più bellissima di lei e una marcia volta che la reggina gli facette la solita domanda alla specchiera quella gli rispondette:
fatti una suppa e fuggi chè notte
c’è Biancaneve che adesso tifotte!
Novvi dico che sorta di vernia che ti combinò la reggina come che intese quelle parole che puramente gli venette una crisi ostetrica la quale sbatteva i vangali, si storcigliava tutta e si tuzzava la capo in faccia ai pareti.
Alla fine mandò chiamando un cacciatore e gli dicette: mò e mò ne devi strascinare Biancaneve nella foresta e la devi uccidere di cui gli devi levare i pormoni, il fecato e la zeppa che mi devo fare il marro e melo devo sculappiare colle patane!
Ma quando che arrivarono sobbraluogo il cacciatore si dispiaquette e gli dicette: senti, io tene faccio andare senza che tuccido ma però tu devi sparire di acquì e alla reggia non ci devi tornare manco morta che senò la reggina mi sbarra tanto di siddone!
Eccosi Biancaneve sene andiede peccazzi suoi e quello uccidette un puerco che si acchiava passando modochè gli portava alla reggina le coratelle per il marro che quella sele cucinò seduta stando e sele sculappiò coll’auro, sale eppepe, sicura sicura che erano l’entrame di Biancaneve.
Ecquì io gli vorrebbi domandare alla Utore di questa favola se gli pare bello contare queste schifezzene che ti vengono i cognati di vomito e puramente si tratta di cantropofaggia la quale non mi pare molto profilattico da imparare ai piccinni.
Basta, Biancaneve camina e camina giungette a una casodda che pareva quella della pupa di cui ti dovevi chicare per non tuzzare alla lamia e dentrovia rimanette babbata a vedere quello che cera: una banca giustata con sette iatticelli e sette forcinelle più sette lettucci che lei tutta ligrenuta come stava non si poteva corcare acquanto erano piccinni.
Dovete sapere che quella era la casa delli Settenani che a quello momento si trovavano allavoro datosi che quelli facevano i minerali e ciovè scavavano l’argiento nelle miniere. Questi Settenani tenevano incerti nomi che più streusi la Utore nolli poteva capare e si chiamavano: Brodolo Piscialo Eccolo Cannolo Bombolo Curciolo e Fotto che solamente santa Cuneconda sape perché l’ultimo si chiamava cosi.
Ora e bene, come che quelli tornarono accasa scoprettero Biancaneve che acconfronti alloro era quanto un alcalà e rimanettero un picca trassè colati ma poi gli dicettero che si poteva pure rimanere basta che faceva i servizzi di casa e non scasciava la carzetta.
Nel fammentre la reggina infama che stava scoscitata che Biancaneve aveva zompato il sicchio, pigliò la cagno di specchiera e gli facette la domanda, ma quello rispondette di brutto:
Fatti una cascia brutta fitente
che Biancaneve è ancora vivente!
Che vi devo dire che quella pareva comesia che l’aveva pizzicata la taranta accome principiò a imbulitarsi atterra e puramente gli uscivano le vave di bocca, Mediatamente si vestì di vecchiazzarra e si rappresentò alla casa dei Settenani dove che, tuppi tuppi, bussò alla porticella dicendo che lei era una merciaiola che andava vendendo sciopparelli, capisciole, nastrini e molle lastiche.
Biancaneve che era un picca paddona la facette trasire e subbito quella gli intorcigliò una fassa alla vita e tanto stringette che la facette perdere di fiato finacchè non schioppò atterra unanime.
Quando che i Settenani tornarono, prima si pigliarono una coccia, poi gli sciogliettero la fassa e Biancaneve si ripigliò se tra lo quale gli dicettero che di mò avanti non doveva più aprire la porta manco alla fessammammisa.
Eddecco che la reggina domandò unaltra fiata alla specchiera, dove che quella prima gli sparò un pirnacchione eppoi gli dicette:
Non mi scasciare più la carzetta,
c’è Biancaneve in quella casetta!
Novvi dico che la reggina principiò a uccolare manco la sirena dei pompieri e puramente gli venette la pressione adduecento. Ma poi si risettò e si vesti arreto di vecchiazzarra di cui andiede alla casa dei Settenani e tuzzò alla porticella dicendo che lei era una pettinessiera e andava vendendo pettini e pettinesse e che se la faceva trasire gli faceva pure i capelli essendo che lei era pure parrucchiera addomidilio.
Biancaneve, essendo che andava tutta scapelleggiata, non sapette resistere al fruscolo che si faceva fare la messappiega e aprette la porta.
Ma quella usci una pettinessa velenata e nel mentre che gli stava fando la scrima gliela ficcò nel coccolo e Biancaneve sciombò atterra per morta.
Quando che i Settenani tornarono, prima si metteremo a biastimare ma poi gli levarono la pettinessa din capo e quella si ripigliò arreto, se tra lo quale gli dicettero che se apriva unaltra fiata la porta loro la cripentavano di mazza-te.
Acquesto punto la reggina andiede apparlare colla specchiera essendo che si credeva che oramai si aveva levato dell’epalle quella trubbacanali di Biancaneve. Ma ecco che la specchiera gli scattereggiò un pirnacchione ancora più forte eppoi gli dicette:
c’è Biancaneve sempre più bedda
e attè ti vegna na cacaredda!
Picca ci mancò che quella nolli venette uno sbocco di sangue per la nervatura che i capiddi s’impizzarono arnzzo e l’occhi gli uscettero di fuori como addue lampaggioni.
Ma chi l’ha dura la vince eccosi si vesti per la terza ftata di vecchiazzarra e andiede alla casa dei Settenani con un moleddo che mezzo era buono e mezzo gli aveva fatto una nizzione di vileno.
Mò io gli domando alla scrittoio che è scritto questa favola se è mai possibbile che Biancaneve era tanto turdacchiona e menchialire che gli apriva arreto la porta e la faceva trasire! E di sobbrappiù era tanto babbalocca e sciaddea che tirava un mozzico al moleddo velenato!
Basta, comocazzo sia sia quella manco che mozzicò gli venette un prolasso di cuore e cadette atterra lunga e rinsecchita. E avoglia che quando tornarono i Settenani si ligrenivano per farla bivescere che quella si aveva intostacchiata como il carparo e noera cosa che apriva le papille dell’occhi.
Alla fine quelli si facettero capaci che aveva morta alla veramente e la chiudettero dentro a un bauglio di vitro che almeno sela stipavano per ricordo.
Ma ecco che si acchiò passando un principe un picca scianaro che si nammorò di quella carosa tutta cadavere come si trovava e gli dicette ai Settenani: mò e mò mela dovete dare cottutto il bauglio che mela voglio trasloquiare alla reggia!
Allora i Settenani si caricarono il chiavuddo e si mettettero a caminare se tra lo quale truppicarono a un cacone e sciovertarono tutte cose atterra, di cui il vitro si scasciò e Biancaneve rozzolò di fuorivia. E non vuoi che il tuzzo gli facette vombicare il mozzico di moleddo che ancora portava abbocca?
Ecqui ti voglio che io penso che la Utore forse andava umbriaco quando che scrivette questa coglionaggine. Ma comè possibbile che quella piglia e bivesce dopo tanta tiempo che si aveva sucato il vileno? E messo e non con cesso che il vileno a quella fogli faceva affetto, comè mai possibbile che aveva rifiatato nel bauglio senzana?
E poi, chè si aveva mangiato a tutto quello tiempo per non morire di fame?
E chi era, un pescetto rosso di quelli che si mena la palluzza nel vasetto alle giostre?
Ogni modo e comoddio vole, Biancaneve e il principe scianaro sinzurarono e camparono felici e contienti.
Quello che non si è capito bene è quale fine facette la matrea coll’amenchia di specchiera, datosi che in faccia a un libbro stà scritto di un modo e unaltro dice diverso. Uno dice che quella si scerrò le parole maggiche che la facevano tornare giovane di cui rimanette vecchiazzarra avvita e poi sene andò all’aceto e morette sculappiandosi di soprabasso a un pricipizzio. L’altro dice che la invitarono allo sposalizzio di Biancaneve dove che la facettero ballare con un paro di scarpe di fierro roventato finacchè la calona nolla squagliò tutta e morette.
Io penso invece che quella zompò il sicchio per sgorrompimento essendo che si buttava di coratelle, marro, torcinelli e cetera e alla fine gli venette il culosterolo.
Postribolo: La Utore non dice che fine facettero i Settenani ma è sicuro che ogne fiata che si rappresentava una carosa accasa loro, dora in poi, la pigliavano a sputazze e cacinculo.